«La nostra migliore pubblicità sono i nostri espositori»
Torino. Alla chiusura della quinta edizione di Flashback, che si è tenuta dal 2 al 5 novembre al Pala Alpitour attirando 15mila visitatori, abbiamo intervistato le due curatrici e anime della fiera, Stefania Poddighe e Ginevra Pucci.Gli espositori sono tutti entusiasti e vi promuovono a pieni voti. Come mantenete alto il loro gradimento?S.P.: Siamo due persone che lavorano con passione ed entusiasmo. Giriamo molto, seguiamo i nostri espositori nelle loro mostre e attività. Abbiamo un dialogo aperto e con loro ci confrontiamo continuamente. Chiediamo commenti, suggerimenti, con loro cerchiamo di ragionare e trovare una formula sempre migliore. D’altra parte anche loro si sono affezionati a noi e al nostro progetto. Ormai capiscono il messaggio che abbiamo lanciato cinque anni fa, che all’inizio anche per loro era un po’ destabilizzante, soprattutto per quanto riguarda gli espositori di arte antica. Adesso sono loro i primi che portano avanti il messaggio e ci credono; sono loro la nostra miglior pubblicità. Notiamo che anno dopo anno arrivano a Flashback sempre più preparati e con opere sempre migliori. Il successo di questa fiera è anche dovuto a loro: noi possiamo costruire il contenitore perfetto ma se il pubblico viene e torna, compra e si appassiona è tutto merito degli espositori.L’unico appunto che vi fanno è quello del numero degli espositori, che è sempre cresciuto da quando Flashback è stata fondata in poi (a parte una lieve flessione dall’anno scorso a quest’anno, da 44 a 40). Secondo qualcuno, occorrerebbero una decina di partecipanti in più.S.P.: È verissimo, è una cosa su cui stiamo lavorando. Fin dall’inizio abbiamo sempre detto che preferivamo fare un passo alla volta, per cercare di garantire sempre una qualità molto alta, quindi tendenzialmente privilegiamo la qualità più che la quantità. Anche noi però crediamo che bisogna incrementare il numero degli espositori e anche delle espressioni artistiche.G.P.: Anche se il nostro aumento, come abbiamo sempre detto, è previsto entro determinati limiti, nel senso che il nostro obiettivo, la nostra fiera perfetta, non vede più di 60 espositori.Avete parlato della sede. Leggendo i giornali di questi giorni, pare che il Pala Alpitour non sarà più disponibile il prossimo anno. Voi avete già un’alternativa?G.P.: Non abbiamo ancora delle date su cui lavorare, non sappiamo se il Pala Alpitour sarà occupato; non sappiamo neanche se arriverà Madonna negli stessi giorni della fiera del prossimo anno e non sappiamo addirittura neppure ancora quale sarà esattamente il fine settimana in cui ci posizioneremo, quindi è tutto un po’ prematuro. Con Stefania abbiamo considerato che noi non avevamo ancora potuto parlare del «quando», che già fuori di noi si discuteva del «dove».S.P.: Al Pala Alpitour sono anche loro nostri amici…G.P.: Se mai ci dovrà essere qualcos’altro nello stesso periodo (io spero di no), credo che ne potremo discutere. Questa notizia sui giornali ci ha colto un po’ come un fulmine a ciel sereno… L’abbiamo appresa in questi giorni, come lei.Ipotizzinmo di istituire tre macrocategorie di arte: arte antica e dell’Ottocento, arte moderna e arte contemporanea. Qual è attualmente la categoria che traina le altre, o che ha il sopravvento?G.P.: Noi non ragioniamo così. All’inizio dell’attività in questo settore, quando io e Stefania ci siamo messe a ragionare su un tipo di fiera che ci sarebbe piaciuto organizzare, l’idea è stata quella di non fare riferimento al periodo storico, ma guardare l’opera nel suo «adesso». È naturale che possono concorrere opere che sono state create in altri periodi storici, ma non per questo sono meno contemporanee nella loro attualità. Se vogliamo fare riferimento alle macrocategorie che lei citava, le sentiamo poco affini a noi stesse. Ci sentiamo molto libere nell’avere questa visione un po’ enciclopedica dell’arte.Un vostro espositore che prima esponeva ad Artissimaha trovato la vostra fiera particolarmente, e piacevolmente, «slow». Forse questa è una chiave di lettura di Flashback.G.P.: Facendo riferimento all’accezione di «slow» che viene utilizzata correntemente per il cibo, può essere una definizione azzeccata. Prendersi del tempo per guardare (non soltanto per vedere e archiviare in tre secondi) forse corrisponde alla nostra visione dell’arte.Le fondazioni bancarie intervengono come acquirenti di arte contemporanea ad Artissima a vantaggio dei musei del territorio. Si sono mai fatte vive a Flashback? E se non è accaduto, perché?G.P.: Per noi sarebbe meraviglioso se accadesse. Da toscana, penso che ci abbiano dato un po’ di tempo: volevano vedere se Flashback era seria, come funzionava, se si radicava. Il nostro auspicio è che vedendo come sta crescendo, qual è la serietà del progetto, possano valutare una possibilità del genere.Voi collezionate? Se sì, che cosa?G.P.: Io, per quanto il mio budget personale me lo permetta, sono molto eclettica. A Basilea vado per esempio a Liste (ad Art Basel non posso economicamente avvicinarmi) e mi piace comprare opere di giovani artisti a prezzi ragionevoli, così come mi accosto alle nature morte antiche, in un momento in cui questo genere non è richiestissimo. Medio tra il mio budget, i miei gusti e le tendenze del mercato.S.P.: È una cosa molto soggettiva. Mi ritrovo a essere attratta da una cosa piuttosto che da un’altra a prescindere dall’epoca o dall’artista in sé. Oltretutto, sia io sia Ginevra, sempre con le nostre piccole possibilità, cerchiamo ogni anno di acquisire un’opera da mettere da parte, per radunare una «collezione Flashback».Articoli correlati:Flashback, un plebiscitoE se fondassimo il partito dei desueti? ...